Due 'estratti', racconti sull’essere sardi, sulla periferia e sulla centralità che da sempre fanno da sfondo ai discorsi ‘sardi’. Il primo appare in un saggio e riporta le parole di Lussu che intervenendo a convegno affermava "di aver 'conosciuto cinque Papi [...] di aver visto saltare per aria regni e imperi'. E concludeva 'Il volto della terra è veramente trasformato. Siamo ormai nel pieno della civilità storiaca e dei voli alla luna. Ma la Sardegna?'". (ARESU 2010.
Il secondo è nell'introduzione di non ricordo quale libro del mio scrittore sardo preferito, parlava delle dimensioni dell’isola e di
quanto oltrepassare il mare significasse (e significhi) per molti, oltrepassare
un punto estremo. Così i 350 km dell’isola equivalgono ai 3500 del Brasile, e
per tanti le estremità dell’isola rappresentano limiti invalicabili, un punto
oltre il quale c’è un mondo sconosciuto, un altro mondo. Quella data da quell’autore
in quel libro era la definizione perfetta di ‘isolanità’, un concetto tanto
chiaro e oscuro allo stesso tempo.
La questione, introdotta da
questi due punti, oggi è, per me, più che mai attuale. L’isola non smette di
essere isola e gli isolani non smettono di essere isolani a volte neanche
quando hanno ormai lasciato l’isola da tempo. La conservazione di produzioni
tipiche, di idee tipiche, di tradizioni tipiche è il marchio di fuoco di quanti
sono nati nell’isola, sia che ci vivano ancora, sia che l’abbiano lasciata. È un
dramma distanziarsene.
In un modo o nell’altro ci si
rimane attaccati, come un neonato al seno di una madre/badante. Ma c’è modo e
modo di conservare legami, e di intrecciarne di nuovi. Ci sono quelli che all’estero
da una vita hanno una visione più ristretta dei loro corregionali rimasti nell’isola.
Ci sono quelli che tornano dopo anni e portano una ventata di freschezza,
riuscendo a coniugare novità ed esperienze di vita con gli stili ‘sardi’. Ci
sono quelli che non tornano fisicamente ma mentalmente non l’hanno mai lasciata
(l’isola). Ci sono quelli che non tornano spesso ma ne vedono i pregi e i
difetti.
Non saprei in quale categoria
entrare, e le categorie, come sempre avviene, non sono compartimenti-stagno, ma
insiemi nei quali gli elementi cambiano di posto spesso, così mi piacerebbe
fosse.
Oggi, proprio oggi, 20 luglio,
vedo i pregi tanti di essere un’isola di essere nell’isola di fare qualcosa per
l’isola più povera economicamente dell’Italia. Ma non ve li dico, non serve a
niente. A che servono gli elogi? Se servissero a migliorare lo farei, e ne
avrei da scrivere. Più frequentemente servono a ‘incensarsi’, a sedersi e
ingrassare, nel più tipico stile italiano.
Passo quindi a una critica. Che
per me ha, di gran lunga, maggior valore di un complimento.
L’Italia oggi, e la Sardegna, le
vedo grigie. Con pochi colori. Con poche alternative. Con poche discussioni.
Ognuno vuole assomigliare il più possibile all’altro. Nel bene e nel male. "L'erba del vicino è sempre più verde" non vale per la Sardegna".
Colorz. Rossella, via col vento.
Colorz. Rossella, via col vento.
Un consiglio: indossiamo vestiti
sgargianti, suoniamo, disegniamo, esprimiamoci, ascoltiamoci, risentiamoci (!)
UsciAMO dai confini restando nei confini se lo sappiamo fare, se no, nel dubbio,
siamo estremi e non poniamoci confini.
Lo scrittore di cui ho parlato è, naturalmente, l'avrete capito. Sergio Atzeni. Il titolo del libro non lo ricordo davvero.
Con rispetto e amore,
Vinicio
Con rispetto e amore,
Vinicio