quinta-feira, 29 de novembro de 2012

Calcio, sport, crimini, giornalisti incapaci

Sono le 21:30 a San Paolo. Vado nella pagina principale di Repubblica.it.
Sul lato destro, in evidenza, il titolo dell'articolo del blog, sul quotidiano,
di Fabrizio Bocca. Parlo del titolo, perché dopo averlo letto la voglia di
leggere l'articolo non esiste, azzerata, non do adito a penne che scrivono
solo grazie all'abbondanza di 'inchiostro' e di sponsor e idee che pensano
che lo sport sia esente dagli altri aspetti della nostra vita quotidiana. Sono
persone del genere, come il pessimo Fabrizio Bocca, che fanno (e hanno
fatto sì) che il calcio sia quello che oggi è: poco sport, poca passione,
poco 'spirito', poca etica, solo soldi, come quelli che immagino guadagni
(immeritatamente) questo tal Bocca (in sardo gli direbbero 'de si da tuppai
de pressi).
Cosa dico?
Riporto il titolo:

Messi, Ronaldo, Iniesta
Pirlo è dimenticato
Moda o pallone d'oro?

Decise le terne per il voto finale. Tutta iberica anche quella degli allenatori: Del Bosque, Guardiola e Mourinho. Ma cosa hanno fatto più di Conte o Mancini?
di FABRIZIO BOCCA


Prendiamo l'ultima parte, quella sugli allenatori. Bocca propone Conte come candidato
a migliore allenatore, citando gli altri concorrenti. 
Il mio dubbio e la ragione del mio attacco si basa sul fatto che Conte è stato squalificato
per un bel po', condannato a stare (purtroppo poco) lontano dalla panchina della
sua squadra per illeciti sportivi. E Bocca lo vuole candidare a migliore allenatore?????
Ecco che nel calcio, secondo questo 'giornalista' i risultati sono quelli che contano,
se sei un criminale (nel senso che commetti un crimine) non c'è problema,
se hai frodato e esonerato i tuoi doveri chissà perché non fa niente.
Il berlusconismo fatto sport, grande bocca, sei un mito, l'Italia odierna fatta
penna; l'ignoranza fatta penna; de coubertin mai sentito nominare?

E tu, Bocca, scrivi sulla Repubblica, povera repubblica, in tutti i sensi.
Non ne hai diritto, né sulla Repubblica, né da altre parti. 
Vai su un campetto e impara cosa significa calcio, poi scrivi, se non trovi altro.


Vinicio Corrias

Sardegna Digital Library

Salluri,
po kinni no du xiri, sa regioni ari postu a dispositzioni una surr'e cosa, innoi
Po kinni ndi oiri xiri de prusu de custu logu, po kinni d'ari lassau tempusu mera
e ndi tenniri 'saudade'

quinta-feira, 22 de novembro de 2012

Italia(ni) e colonialismo


Un brano di un dialogo tra Wu Ming 2 e Giuliano Santoro, potete leggere l'intero dialogo qui


E fu così che, nel bel mezzo dell’autunno della crisi e dei sacrifici “tecnici”, si materializzò nel dibattito pubblico il monumento a Rodolfo Graziani governatore della Cirenaica e criminale di guerra del ventennio fascista. Graziani fu governatore durante la dominazione fascista della Libia, comandante nel corso dell’invasione dell’Etiopia, viceré d’Etiopia nel 1936-‘37 e comandante delle forze armate della Repubblica di Salò, lo stato-fantoccio mussoliniano che de facto rappresentò un protettorato nazista, dal 1943-45. Il monumento a questo macellaio del colonialismo e del nazifascismo è stato inaugurato l’11 agosto scorso ad Affile, paesello della provincia di Roma ai confini col frusinate. Il memoriale dapprima non ha destato scandalo, poi – complice il grido d’allarme, "Affile, Grazianilandia. L’eredità razzista e il mausoleo delle sfighe", lanciato in settembre dalle pagine di Giap – ha conquistato le pagine dei giornali ed è diventato il simbolo della mancanza di memoria in questo paese. Tuttavia il monumento al criminale di guerra Rodolfo Graziani sta a ancora là. È un’occasione da cogliere per capire come le scorie dei postfascisti al governo e l’eredità tossica del ventennio berlusconiano abbiano influenzato il nostro rapporto con la storia.
In un articolo comparso sulla rivista internazionale di studi postcoloniali Interventionsnel 2007, Miguel Mellino si chiedeva come mai proprio in Italia - paese che ha un passato coloniale ed un presente attraversato da flussi migratori - gli studi postcoloniali e il dibattito critico su queste tematiche non avessero trovato terreno fertile. Una delle conclusioni di Mellino era che questa lacuna poteva essere colmata, (di più: stava già cominciando a essere colmata) soltanto negli spazi “al confine” tra la ricerca accademica e le lotte sociali. Di questo discuto con Wu Ming 2, uno dei membri del colletivo Wu Ming. Il mio interlocutore ha scritto con Antar Mohamed “Timira”, “romanzo meticcio” che racconta la storia di Isabella Marincola, donna che ha vissuto da una prospettiva “in-between” il periodo che va dal colonialismo fascista ai giorni nostri. Il tema del colonialismo e del rapporto con le storie incompatibili che agitano l’inconscio collettivo e sono in grado di mostrarci lati oscuri e “prospettive oblique” attraversa tutta la produzione letteraria dei Wu Ming. Per rimanere a due testi recenti,Manituana è ambientato nel mezzo della “rivoluzione” americana contro il colonialismo britannico e Altai ci racconta la battaglia di Lepanto (vero mito fondativo del concetto di Occidente) dal punto di vista degli infedeli. Ancora: tra febbraio e marzo del prossimo anno uscirà Point Lenana. Anche questo romanzo, firmato da Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, affronta il tema del rapporto tra l’Italia e l’Africa, dal punto di vista insolito delle vicende legata alla scalata del Monte Kenya da parte di tre italiani negli anni della Seconda Guerra Mondiale.


Dunque, strappo Wu Ming 2 dalla scrittura di L’armata dei sonnambuli (questo il titolo del prossimo romanzo del collettivo, che sarà ambientato negli anni “del terrore” immediatamente successivi alla rivoluzione francese) e gli chiedo, per cominciare: il sacrario di Affile rappresenta davvero l’incapacità dell’Italia di fare i conti col suo passato coloniale?
Direi più in generale che il sacrario di Affile è un monumento all'incapacità italiana di fare i conti con la Storia. Nei giorni in cui si discuteva di quel Vespasiano di Sangue, molti giornali hanno pubblicato in prima pagina la notizia che il Tribunale di Stoccarda ha assolto gli otto indagati per la Strage di Stazzema. Da tutti gli articoli, oltre alla giusta indignazione per la sentenza, trapelava un sentimento critico nei confronti dell'intera nazione tedesca, ancora non abbastanza risoluta nel riconoscere la vastità dei crimini nazisti. Eppure, non c'è nulla di particolarmente “tedesco” nel tribunale di uno Stato che usa i codici per difendere le proprie forze dell'ordine. È un film visto e rivisto, che non conosce confini. Al contrario, c'è molto di italiano nella degradazione della Storia a semplice nostalgia, terreno di caccia, venerazione di facciata, giochino elettorale. Pensate che cosa sarebbe successo se un comune del Baden-Württemberg avesse eretto un monumento per uno degli accusati di Stazzema. Pensato? Ecco, quello è il sentimento che provano etiopi e libici nel sapere che in Italia c'è un sacrario dedicato a Graziani. Ma quelli sono negri e beduini, cosa vuoi che importi. Dunque il sacrario è anche un monumento al razzismo degli italiani. Con tutto che pure gli italiani dovrebbero provare un sentimento di ripulsa, perché Graziani, tanto per dirne una, fu pure il firmatario del bando – nel febbraio '44 – che prevedeva la fucilazione per chi non si presentava alla visita di leva.
Graziani era fascista e colonialista. Ho notato che si tende spesso a distinguere tra i crimini del nazifascismo da quelli del colonialismo, forse perché questi ultimi sono stati commessi anche prima del Ventennio, come avete ricordato in occasione di un vostro speech sull’anniversario dell’Unità d’Italia. Eppure, c’è una relazione storica tra i due fenomeni: nel suo “Discorso sul colonialismo” l’intellettuale e poeta martinicano Aimé Césaire scriveva: “Varrebbe davvero la pena di studiare, clinicamente, in dettaglio, tutti i passi di Hitler e dell'hitlerismo, per rivelare al borghese distinto, umanista e cristiano del ventesimo secolo che anch'egli porta dentro di sé un Hitler nascosto, rimosso”. Césaire ricordava anche che il nazismo ha “applicato all'Europa quei procedimenti colonialisti che sino ad allora erano riservati esclusivamente agli arabi d'Algeria, ai coolie dell'India e ai negri dell'Africa”. In effetti, la persecuzione degli ebrei in Europa non venne dal nulla. Al contrario ebbe modo di prendere a modello la “socializzazione all’indifferenza” che era già stata sperimentata con i colonizzati; così come i lager e le pratiche di “annientamento amministrativo” erano stati nelle colonie. Pur distinguendo i fenomeni storici della Shoa e dei massacri coloniali, siamo costretti a prendere atto del fatto che l’Olocausto viene oggi – per fortuna – riconosciuto come “male assoluto” perché i sopravvissuti ne hanno tramandato la memoria, non senza trovare qualche ostacolo all’inizio. Tuttavia, ciò ancora non avviene quando si tratta di colonialismo. Quali corde dell’inconscio collettivo muove quella storia rimossa e come mai non diventa oggetto di dibattito pubblico?
Sono molto d'accordo con il discorso di Césaire, tanto che in Timira ho cercato di mettere a nudo anche il “piccolo colonialista” che mi sono ritrovato nel cervello, pur credendomi immune da una simile cultura. Tuttavia, ritengo che in Italia sia importante distinguere i crimini colonialisti dell'epoca liberale da quelli fascisti: si mostra così che fu il colonialismo (e il razzismo) a innestarsi nel fascismo, e non viceversa, che esso fu uno dei suoi elementi costitutivi (il Partito Nazionalista, grande sostenitore dell'impresa coloniale, confluì nel Pnf nel 1923). La retorica imperiale fascista ha finito per far coincidere, nell'immaginario collettivo, l'epoca delle colonie con la dittatura, e questo è un primo motivo di rimozione: se attribuiamo al fascismo la ferocia coloniale e i deliri sulla razza, allora ne facciamo il capro espiatorio di quelle brutture. E una volta immolato il capro, possiamo credere di aver mondato anche la storia patria e il nostro Dna da quella sporcizia. Detto questo, io credo che colonialismo e fascismo – pur distinti – vadano messi in stretta relazione, e che non si possa capire appieno il secondo se non si studia il primo in profondità. Lo stesso vale per la lotta di Liberazione: penso che la nostra Resistenza sia stata in buona parte una guerriglia anti-coloniale, radicata sul territorio, diretta contro un esercito invasore e contro un regime che aveva colonizzato le coscienze. Wu Ming 1 sta lavorando molto su questo parallelismo nelle pagine del suo prossimo libro, Point Lenana. Tanti italiani presero le armi e diventarono antifascisti proprio quando si trovarono nella condizione di vivere in una colonia del Reich. Quella condizione coloniale creò una specie di cortocircuito, un insight improvviso e contraddittorio. Nelle memorie di quei soldati italiani che dopo l'8 settembre '43 disertarono sul fronte greco e jugoslavo, troviamo spesso la partecipazione a episodi di resistenza, ma non c'è mai il ricordo di quel che accadde prima dell'8 settembre, quando quegli stessi soldati facevano parte di un esercito invasore, che commetteva soprusi, stragi e fucilazioni. La coscienza anti-colonialista di quei soldati, una volta risvegliata, ha cancellato il ricordo di quanto loro stessi avevano commesso da colonialisti. Credo che in parte la rimozione della nostra esperienza coloniale dall'inconscio collettivo abbia a che fare anche con questo: i due miti fondativi della nostra nazione, ovvero il Risorgimento e la Resistenza, sono miti anti-colonialisti. Dunque, che ci siamo andati a fare in Africa, se non i ponti, gli ospedali, le strade? In secondo luogo, come dimostra bene il famoso discorso di Pascoli in favore dell'invasione della Libia (1911), buona parte della nostra retorica espansionista nasce dal vittimismo: gli Italiani sono ovunque derisi, trattati a pesci in faccia, considerati gente sporca e rissosa. È giunto il momento di far vedere al mondo quel che valiamo, di non essere più soltanto vittime, ma civilizzatori, padroni a casa nostra e in una casa più larga. Ma allora questo colonialismo “da vittime” non può esser stato che comprensivo, buono, tutt'al più straccione. Di certo non feroce. Infine, avendo perso le colonie con la seconda guerra mondiale, non abbiamo conosciuto nulla di paragonabile alla guerra d'Algeria o alla rivolta dei Mau Mau. Anzi: nel dopoguerra De Gasperi si adoperò per ottenere qualche ex-colonia in Amministrazione fiduciaria dalle Nazioni Unite. Spese le credenziali dell'antifascismo e della Resistenza per dire che l'Italia non era come la Germania o il Giappone, non la si poteva umiliare togliendole tutte le colonie. Ci voleva un contentino, e visto che nel frattempo c'eravamo tolti la camicia nera e avevamo imparato la democrazia, si offrì di insegnarla ai selvaggi che ancora non la conoscevano e ottenne l'affidamento decennale dell'ex-Somalia Italiana, per avviarla all'indipendenza. L'Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia fu una specie di colonia a tempo, con scadenza nel 1960. Ma era una colonia, così come “le operazioni di polizia internazionale” sono guerre e le bombe intelligenti sono ordigni di morte. I somali infatti non si fecero ingannare e reinterpretarono subito il nuovo acronimo (A.F.I.S.) come: Ancora Fascisti Italiani in Somalia. Burocrati e funzionari, infatti, erano gli stessi di prima della guerra, e nemmeno alcune leggi razziste vennero cambiate. Tuttavia, questo ci permise di pensare che mentre gli altri paesi europei dovevano combattere contro le guerriglie di liberazione, noi invece andavamo d'accordo con i nostri ex-colonizzati, tanto che addirittura potevamo festeggiare con loro, a Roma, la tanto sudata indipendenza. E questo fu un altro macigno calato sopra i crimini del nostro colonialismo.

domingo, 18 de novembro de 2012

Claudia e i mobili

Signori e signore,

vi chiedo una piccola cortesia.....
Un voto su internet per la foto di mia sorella,
all'indirizzo
http://testimonial2012.chateau-dax.it/
La persona da votare è Claudia, se vincesse, avrebbe in regalo
i mobili del salotto che ha già comprato....

Forza!!! e grazie
Vinicio


sábado, 17 de novembro de 2012

Le origini del calcio


C'è un nuovo libro sul calcio che sta per essere pubblicato, parla (anche del Brasile). Questa
è una parte del primo capitolo che l'autore ha messo a disposizione per tutti. Non trovo più
il nome dell'autore, continuerò le ricerche, ma l'avevo trovato in Fùtbologia.org, un nuovo
interessante progetto dei Wu Ming.


Calcio e origini. Cusano Milanino, 1961
Questo libro vuole raccontare la storia del calcio in Brasile, senza la pretesa di dire tutto – ci vorrebbe un’enciclopedia intera, molti se ne sentirebbero comunque esclusi, non potrei più mettere piede da quelle parti – ma lasciandomi trasportare sia dalla passione infantile di cui parla Verissimo sia dal mio punto di vista europeo, lontano quindi parziale.

Io sono nato a Milano nel 1957. A casa nostra la televisione è arrivata nel 1961, ho iniziato a vedere il calcio (prima era una cosa solo radiofonica) e a provare emozione in un gol, un passaggio fatto bene, il punteggio che aumentava a nostro favore.
Le cronache televisive e i commenti di mio padre mi mostravano due dimensioni di questo sport.

La prima dimensione era quella di tutte le domeniche, con la mia squadra che era naturalmente quella di mio padre (squadra di Milano, strisce nere e azzurre, all’epoca otto volte campione d’Italia), il secondo tempo di una partita alle sette della domenica sera, settimane e mesi di pomeriggi che dovevano portare a vincere qualcosa, immagini bianche e nere dove a volte pioveva e giocavano lo stesso (incredibile, ai miei occhi), personaggi che mi rimanevano più impressi di altri per il volto o per il nome… Brighenti, Mazzola, Sani, Pascutti, Hamrin, Hitchens… Sivori che litigava con tutti… Cucchiaroni, che chiamavo Cucchiaioni.
Trapattoni che abitava vicino a casa nostra - Cusano Milanino, poco sopra Milano – e che (fatto ancora più incredibile) aveva un’esistenza reale oltre che televisiva: capitava di incrociarlo, serio serio con la sua borsa di giovanissimo calciatore.
Oppure Lovati, all’epoca portiere della Lazio: era il nostro padrone di casa, gli
versavamo l’affitto. A bordo campo per la mia squadra c’era già un agitato che somigliava al nostro salumiere… tale Herrera… era il nome dell’agitato, non del salumiere.


La seconda dimensione era il Brasile.
Immagini rare. Di calcio fuori d’Italia se ne vedeva di rado, almeno per me che all’ora della Domenica sportiva ero naturalmente già a dormire. Solo i commenti ancora di mio padre o del mio zio juventino, o i titoli sui giornali (sapevo leggere a quattro anni) componevano un paese lontano, grandissimo, sempre al sole, con stadi enormi dove ci stava mezza Milano… squadre dal gioco inarrivabile e dai nomi efficaci, calciatori capaci di dribblare tutti gli avversari e arrivare in porta sghignazzando.
Uno spazio del pensiero e dell’immaginazione. Un luogo leggendario al di là dell’oceano dove tanti erano poveri, ma tutti potevano diventare ricchi giocando quel calcio allegro e miracoloso. Nomi pochi, ma te li ricordavi bene: Pelé, ovviamente, sopra tutti, il più bravo del mondo e già allora il più grande di tutti i tempi… Didi e Vavá, come fai a scordare due che si chiamano così, ti viene voglia di correre dietro una bola solo a nominarli… Garrincha (qui lo pronunciavamo “Garincia”), secondo mio padre anche meglio di Pelé.
Quando in cortile si metteva insieme un abbozzo di partita tra noi bambini, c’era chi sceglieva di essere Rivera, chi Mazzola, chi Facchetti o Bulgarelli o addirittura Ghiggia… ma nessuno, proprio nessuno ha mai avuto la faccia tosta di dire “Io sono Pelé!” o “Io sono Vavá!”. Sarebbe stato seppellito dalle risate.
Noi di qui – Cusano Milanino, Milano, Italia, a miliardi di chilometri dal Brasile - non saremo mai stati come loro, non avremmo mai potuto giocare bene come loro. Questo era il messaggio.
Questo libro è anche un salto in quella suggestione antica, ai primordi della mia esistenza e della mia quasi coeva fascinazione verso il gioco del calcio; e per quello brasiliano, che ne era l’anima portata al cubo.

Comunque… non voglio restare ai fatti miei e alla mia preistoria, ormai corrotta dalla televisione.
Per parlare di calcio – e di Brasile – bisogna guardare là in fondo, fin dove pare non vedersi nulla.
Prima del calcio moderno.
Prima del Brasile.
Il calcio prima del calcio, in epoche da libri di storia, dove pensiamo esistano solo popoli e personaggi monumentali, disegni ed edifici arcaici, saperi già complessi ma ignari di abitare tutti su un unico pianeta.
Chiedersi quando è nato il calcio è paragonabile alla domanda sulla primogenitura dell’uovo e della gallina, o di chi sia arrivato primo in un posto poi chiamato America. Non ci vuole una gran scienza a tirare un colpo di piede a un mela caduta a terra. Né è necessario consultare lo sciamano quanto sia lecito passare la stessa mela a un altro del tuo gruppo, contando sul fatto che poi te la ritiri indietro. Di piede, certo. Non facendola acchiappare dalla bocca di un cane lì vagante. Mirando un punto per centrarlo dopo ripetuti tentativi. Allargando il bersaglio perché cogliere un punto troppo piccolo tirando una mela con i piedi è comunque difficile, ci si scoccia e il gioco dura poco…

domingo, 11 de novembro de 2012


Carlos Lordelo e Clarice Clarice Cudischevitch, Especial para o Estadão.edu
Professores de cursinhos de São Paulo contestam três questões da prova de primeira fase do vestibular da Unicamp, aplicada na tarde deste domingo, 11.
Para o Anglo, os testes 43 e 44, de matemática (caderno Q e Z), têm duas respostas possíveis. Segundo o cursinho, o gabarito da questão 43, de análise combinatória, é a letra A. "Mas muita gente por aí vai dar a resposta B", diz o coordenador geral do Anglo, Luís Ricardo Arruda. "O aumento no número máximo de placas será de 1,6, mas a variação obtida com a mudança relatada pelo enunciado será de 2,6", afirma. "Logo, o aumento é inferior ao dobro."
Já na questão 44 - segundo Arruda, "interessante e bem formulada" - os cálculos levariam à resposta C. "Mas a alternativa A também está certa, já que 4/5 é maior que 3/4 e 25/16 é menor que 16/9", diz o professor. "Uma distração como esta na formulação das alternativas não pode ocorrer em uma prova da Unicamp."
O coordenador pedagógico do Etapa, Marcelo Dias Carvalho, reclama da questão 20, de biologia (caderno Q e Z), que comparava um pinheiro do Paraná a um jequitibá. O professor diz que a alternativa C, que seria a correta, na verdade está errada, porque porque tanto o pinheiro quanto o jequitibá têm sementes - e isso não seria uma característica que diferencia as espécies.

segunda-feira, 5 de novembro de 2012

fascisti carogne tornate nelle fogne

Normalmente non mi rallegro per la morte delle persone e tanto meno per quella delle bestie
(come in questo caso), ma sono felice per la morte di Pino Rauti, neo fascista schifoso
come tutti i suoi seguaci.