sábado, 17 de dezembro de 2011

La terra dei genitori (contribuenti)



     

Si legge nel sito della Repubblica, in data 17  dicembre 2011[1], quest’articolo a cui vi rimanda il link in basso.
La vera notizia, secondo il giornalista, riguarda non tanto la richiesta di fondi, quanto il fatto che quei fondi siano stati ‘chiesti’ per portare avanti materie curriculari; esiste già, infatti, la pratica di  richiedere un contributo ai genitori per altre attività extra-curricolari. Come si dice nell’articolo, la disponibilità ad aiutare l’istituto è venuta direttamente dalla rappresentante dei genitori al Consiglio d’Istituto, dopo la notizia, data dalla preside, che non c’erano abbastanza soldi per il proseguimento delle attività di educazione fisica e musica.
      Dopo la comunicazione della preside della scuola, sono nate le pesanti critiche degli altri organi scolastici, i quali dicono che non è legale tale richiesta, dato che le attività curricolari dovrebbero essere garantite dallo statuto di scuola pubblica.
     Vorrei porre alcune questioni, in ordine sparso, anche se l’ultima è la più lampante.
a) La musica e l’educazione fisica sembrano essere materie di serie B, secondarie. Non sono piuttosto una via per arrivare al pieno sviluppo di conoscenze di altre discipline, senza che queste ultime diventino puri numeri? Il solo studio di nozioni scientifiche, tralasciando il corpo, non porta a visioni distorte delle stesse? Vogliamo, insomma, creare funzionari e scriba?
b) Se i fondi statali non sopperiscono alle necessità di alcuni istituti che ricercano la qualità, perché non accettare aiuti esterni, quando essi vengono da genitori preoccupati e non da istituzioni e imprese private (situazione, quest’ultima comune negli Stati Uniti, e che potrebbe porre questioni di autonomia di ricerca)?
c) I fondi dovrebbero essere un aiuto, ecco, e non il sine qua non.
d) Il provveditore Petralia dice che la preside che chiede soldi significa che gli altri insegnanti presenti non sanno svolgere il proprio lavoro.  Ci sono due questioni.
d1) La prima è quella del tempo e della possibilità di formazione. Come e dove un insegnante trova il tempo di specializzarsi o pianificare attività scolastiche che esulano dalle sue specializzazioni, quando il carico di lavoro settimanale è spesso tale da non lasciar spazio neanche alla sua quotidianità? Non si dovrebbe, quindi, pensare a tempi diversi, e privilegiare la qualità invece che la quantità?
d2) Secondo punto, conseguenza. Se un istituto cerca, con mezzi come quello della richiesta ai genitori, di raggiungere la qualità, non è un bene?

e) Per finire, sono dell’idea che iniziative come queste servano per attirare l’attenzione sui problemi della scuola italiana oggi. Forse, la ricerca di qualità, di esperti e specialisti, potrebbe aiutare le nuove generazioni a superare il gap tra formazione e lavoro che rappresenta un problema oggi per i trentenni. E, come punto d’inizio del lavoro, non si dovrebbe lavorare congiuntamente, istituti, genitori, studenti, per assicurare che la scuola pubblica di qualità continui a essere garantita? Perché quando gli studenti occupano, l’opinione pubblica si limita a dare etichette di devastatori, salvo poi ignorare le situazioni educazionali che esistono?


[1] Ricordiamo che il calendario scolastico va da settembre a giugno, e quella di dicembre è solo una pausa natalizia, che va dal 22 dicembre al 06 gennaio circa. http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/12/17/news/la_scuola_scrive_ai_genitori_servono_soldi_per_le_lezioni-26748007/?ref=HREC1-7

3 comentários:

  1. La scuola italiana caro Vinicio avrebbe bisogno di uno schiaffo morale, non di fondi. Mi dispiace, ma la gente potrebbe, eccome se potrebbe, dedicare tempo e risorse ad un bene primario come questo: ci si scandalizza quando i genitori vengono invitati a partecipare, ma la scuola è il luogo in cui i loro figli passano la maggior parte della loro settimana, andrebbe davvero vissuta come una seconda casa, come un luogo in cui STARE BENE e quindi con partecipazione, non solo attraverso le tasse. Per questo non mi parrebbe strano che, da mamma, mi si chiedesse di scopare il giardino dell'asilo se ce ne fosse bisogno, perché è il giardino di mio figlio, perché è il giardino del mio paese, del mio Paese anzi! E quando nella scuola privata che coordino arrivano adolescenti distrutti nell'autostima e nella progettualità a causa di percorsi scolastici travagliati in cui hanno incontrato solo docenti anziani, noiosi, bravissimi a bacchettare e poco ad emozionare, a coinvolgere, molto abili a sanzionare e poco ad accogliere, io soffro con questi ragazzi che sono il prodotto della peggiore scuola pubblica italiana! I loro genitori si inchinano davanti a me e io invece li abbraccio e dico, ma che state facendo?? e loro non riescono ad uscire da questo ruolo per cui il genitore è subordinato al Docente, Colui che è Supremo perché Sa. Odio questa relazione medievale e retrograda che ha fatto ammalare la scuola italiana: la scuola è malata di povertà, davvero, ma non di povertà finanziaria, bensì di povertà relazionale, progettuale, evolutiva, la scuola italiana, Vinicio, sta morendo e non ci sono fondi che la salveranno, se non si spalancheranno presto le aule per far entrare gente giovane, esperta di metodi nuovi, che abbia voglia di scommettere sui ragazzi invece di sedersi alla cattedra e infondere loro tutta la propria inestimabile, fetida scienza invecchiata nel chiuso di 8, 9 anni di università e scuole di formazione. Questi ragazzi vanno amati e la scuola non lo fa. Poi vengono da me, analfabeti emotivi e rabbiosi e in quattro anni ne escono uomini e donne di cui sarei una madre orgogliosa. Con il metodo della lentezza, della proposta, dell'accoglienza, della sospensione del giudizio, della responsabilizzazione. La scuola è la gente: e la gente che fa la scuola non mi piace e il fatto che passi la maggior parte del suo tempo a lamentarsi, mi piace ancora di meno. Ho un contratto vergognoso che non mi permette di accendere un mutuo nemmeno per comprarmi il frigorifero nuovo e probabilmente è meglio, perché almeno non mi indebito con qualche finanziaria strozzina, ma non mi lamento e faccio, faccio, faccio creativamente con questi ragazzi, in prima abbiamo letto l'intero Romeo e Giulietta col testo a fronte, i genitori vengono ai colloqui e mi dicono "per la prima volta mio figlio si sveglia da solo per andare a scuola, non ha più mal di pancia, incubi, sorride quando torna a casa". Vinicio, la nostra scuola fa venire il mal di pancia ai ragazzini e non perché non ha i soldini per pagare il professore di musica, ma perché il professore di musica troppo spesso non onora la cattedra e il ruolo che NOI gli attribuiamo. Sono le persone che fanno la scuola e la scuola che fanno fa fare gli incubi ai nostri figli. A settembre iscriverò mio figlio alla pimaria del paesello, ma se non sarà accolto per la sua preziosa, inestimabile personalità e originalità, non avrò alcuna remora a iscriverlo altrove. Il frigorifero può aspettare.. Un caro caro abbraccio. Chiara

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  2. Chiara, il tuo è un intervento interessante e che porta molti spunti.
    Mi sembra che ci troviamo d’accordo sulla maggior parte di essi, anche se abbiamo modi di esprimerli e, per come ti autodefinisci, situazioni personali diversi. In primo luogo, siamo d’accordo sulla necessità di integrare le diverse parti coinvolte, e quindi i genitori, nel processo. Ora, che il contributo sia finanziario o di altro tipo, poco importa; non volevo ridurre l’espressione ‘aiuto esterno’ a discorso puramente economico, e forse si potrebbe pensare anche a pratiche integrate, aiuti economici e aiuti di altro tipo, tra cui quello della partecipazione, non misurabile monetariamente ma di grande importanza per la costruzione di una scuola di tutti.
    Le persone come te aiutano in tutti questi modi. Il rischio, per tornare alla questione economica, è che molti giovani, che come te portano entusiasmo, preparazione, sentano invece il bisogno di comprarsi un frigo nuovo, per esempio. Il rischio è che le politiche pubbliche in materia di educazione (e di stipendi, possibilità di formazione continua), portino alla poca qualità (che nel nostro caso si traduce anche in passione) nella proposta didattica. Forse, infatti, le varie povertà che elenchi sono legate a quella economica; non necessariamente un aumento dei fondi andrà a corrispondere a un miglioramento nella didattica, e non necessariamente un aumento degli stipendi degli insegnanti; ma si un ripensamento dei progetti destinati alla scuola, progetti formativi che possono dare aria fresca alle lezioni, azioni che introducano, come giustamente dici, cose nuove. Politiche pubbliche non tanto, e non solo, come diritti contrattuali ma come proposte innovative. Qui sta il punto mi sa, proporre, fare.

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  3. Mi piace il tuo pensare sereno, il tuo proporre pacato. Hai un approccio comunicativo e non giudicante, che potrebbe servire se mai (se mai) il mondo- scuola decidesse di scendere dalla cattedra e mettersi in discussione. Un'eventualità nella quale, ad onor del vero, non ripongo fiducia. Sono giudicante al contrario di te: l'assertività la riservo alle amiche depresse all'ora del tè, perché per una tragedia come quella della scuola italiana serve un'azione di forza, non l'ascolto ad oltranza. Troppe persone lavorano nella scuola con insufficiente dedizione e senza vergogna: molte lo fanno in modo eccellente, ma il loro sforzo è vanificato, umiliato quotidianamente dal fatto che il docente di ruolo è intoccabile, indenunciabile, non sanzionabile, non sorvegliabile, non giudicabile. Ognuno di noi ricorda almeno un docente indegno non solo di insegnare, ma di avere un qualunque ruolo educativo nella vita di un bambino o un adolescente. Molti di noi ne ricordano più di uno. Il nostro non è solo un lavoro, ma una responsabilità civile, morale perché quando noi sbagliamo possiamo distruggere, nel migliore dei casi un'ambizione, nel peggiore una personalità, forti dell'autorevolezza dichiarata dal registro che firmiamo. Questa responsabilità è troppo grande per essere considerata solo una fonte di guadagno e per questo dovrebbe essere sottoposta a straordinaria osservazione e valutazione. In Australia una signora, eletta dal consiglio dei genitori, (non una mamma, tra l'altro, ma una persona nella quale i genitori riponevano fiducia), partecipava a tutte le attività didattiche e alle riunioni del college in quanto uditrice: poi riferiva alle famiglie ed era un grande aiuto per i docenti stessi nel momento in cui poteva osservare, da un punto di vista molto interessante, le dinamiche della classe di fronte alle proposte degli educatori. Un controllo diretto al quale pochissimi docenti italiani si sottoporebbero serenamente. Un deterrente per qualunque comportamento vessatorio un docente possa essere tentato di agire nei confronti di uno o più studenti, un incentivo a prepararsi mentalmente e materialmente al lavoro in aula, uno stimolo a fare bene e con passione.
    Il corporativismo fa male alla scuola: ci si difende a vicenda, "sai un giorno potrebbe capitare anche a me e nessuno mi difenderà, per cui io a priori mi schiero con il collega".
    Le proposte di cui tu parli non possono coinvolgere questa parte di insegnanti: queste persone, pericolose, devono uscire dalla scuola. Ci sono strumenti e ruoli che non vengono usati: la direzione didattica potrebbe fare molto, un corpo docente che non accettasse le gravi disfunzioni di alcuni colleghi potrebbe fare molto, espellere in modo naturale la parte malata, come una specie di calcolo renale. Gli studenti potrebbero davvero essere ascoltati e dovrebbero essere chiamati a valutare i loro educatori.
    La mia proposta è molto semplice Vinicio, ma proprio per questo non sarà mai realizzata, costa troppo poco e funzionerebbe tanto: che scendessimo dal piedistallo e ci mostrassimo per quel che siamo, persone che sanno un poco di qualcosa e che possono, vogliono condividerlo in un ambiente rispettoso e aperto. In tutta umiltà. Col solo obiettivo di accompagnare i ragazzi e le ragazze a capire come e che cosa ottenere con le proprie forze. Gli strumenti li abbiamo, mancano l'umiltà e tanta, tanta voglia di fare e spendersi.
    Chiara

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